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Quattro giorni

Aggiornamento: 1 dic 2022



Spesso, quando mostro una foto dallo smartphone o durante una conferenza, mi viene chiesto quanto tempo mi ci sia voluto per realizzarla.


Non c’è mai una risposta univoca, cambiano le dinamiche a seconda della specie, talvolta capita letteralmente di inciampare su un soggetto, talvolta ci vogliono anni per ritrarre un particolare comportamento. D’altronde è anche questo il bello della fotografia naturalistica.

Domande come questa, oltre che essere un’ottima scusa per approfondire alcune tematiche di natura etica della fotografia, crea un positivo dibattito dal quale spesso emerge che il dietro alle quinte di alcune immagini sia tutt’altro che scontato.


Quattro giorni è stato il tempo necessario per realizzare lo scatto che mi ero prefissato dal primo incontro con un piccolo gruppo di picchi neri (Dryocopus martius).



Scorcio di paesaggio autunnale in bosco di misto di robinia, quercia rossa, farnia e pino silvestre.


70 mm, 0,4 s, f 7.1, ISO 1000


Tutto inizia con l’arrivo dell’autunno e l’aumento delle precipitazioni, condizione ideale per osservare una specie tanto comune quanto affascinante: la salamandra pezzata (Salamandra salamandra). È stata lei l’obbiettivo di un’escursione non particolarmente fortunata in un sito del Parco del Ticino dove, nonostante le perfette condizioni, non s'è vista neanche l'ombra dell'anfibio giallo e nero.



Una salamandra pezzata in un ritratto ambientato dopo un acquazzone notturno, autunno 2021.


10 mm, 1/60 s, f.18, ISO 1600


Sulla via del ritorno sento a poche decine di metri la vocalizzazione di un picchio nero, piciforme dalle abitudini estremamente elusive che mai avevo avuto occasione di osservare per poco più di qualche secondo. L’individuo si muove sui rami di una vecchia farnia, intervallando la salita con il classico "cri-iiiiiii", uno dei più comuni richiami dell'ampio vocabolario della specie.


Mi avvicino piano con il favore dell'ombra e della copertura delle piante, inquadro e inizio a scattare. Le condizioni non permettono una visione chiara e le foto si rivelano poco più che un semplice documento. Nella speranza di un’inquadratura migliore faccio qualche passo più avanti, facendolo involare. Mi mangio le mani pensando che avrei potuto semplicemente godermi la scena senza filtrarla con la macchina fotografica.

Amareggiato e dispiaciuto di aver disturbato il raro avvistamento, mi dirigo verso la macchina e sento nuovamente il richiamo, stavolta poco più lontano e nel mezzo del bosco. Aspetto per circa mezz’ora seduto su un vecchio tronco finché due individui non raggiungono il lato dove mi trovo. Si rivelano sorprendentemente tranquilli in mia presenza e volano da un albero all’altro alternando ritmici colpi con il becco a forti vocalizzazioni. Rimango affascinato dal momento e decido stavolta di non farmi distrarre dall’obiettivo.

Aspetto quindi il buio per andare verso la macchina mentre i due esemplari continuano a comunicare alle mie spalle. “Domani, cascasse il mondo, devo essere di nuovo qui”.



Foglie di felce incorniciano il sole al tramonto nel Parco del Ticino.


10 mm, 1/80 s, f 22, ISO 800



Mi presento sul luogo del precedente incontro mezz’ora prima e con la fotocamera pronta sul cavalletto. Ai due picchi si aggiunge un terzo e stavolta, con il favore della luce, riesco a scorgere meglio le sagome e la stretta cresta rossa sul capo. Sembrano tre maschi in dispersione, il ché spiegherebbe questa piccola aggregazione.

La specie occupa generalmente zone montuose ma si osserva con frequenza anche a quote più basse nei settori prealpini; nonostante sia piuttosto sedentario infatti, il picchio nero è in grado di compiere erratismi considerevoli al di fuori del periodo riproduttivo, con conseguente colonizzazione di nuove aree anche molto lontane.



Fori di alimentazione di diverse specie di picchio. Quelli di picchio nero si riconoscono per le dimensioni maggiori, la tipica forma ovale e per la presenza di grandi cumuli di schegge alla base del tronco interessato.


Nonostante le ragguardevoli dimensioni raggiunte da questa specie (circa 70 cm di apertura alare) le sagome rimangono quasi sempre celate tra i rami e solo in rari momenti riesco a scorgere le cresta rossa fare capolino tra le fronde: quella del maschio attraversa tutto il capo mentre nella femmina è limitata alla regione nucale. Provo a scattare qualche fotografia ma nessuna mi soddisfa. Sono costretto a passare al formato video vista la poca luce a disposizione.



Il classico "cri-iiiiiiii" di un individuo in lontananza e il tipico tambureggiamento sul tronco usato come segnale territoriale. Questo risulta molto sonoro e caratterizzato da sequenze regolari di colpi.


Torno a casa con poco più di qualche silhouette dei picchi tra i rami, ancora niente di soddisfacente. Passo un paio di giorni di lavoro da casa e poi ritorno nello stesso punto, parcheggio al limitare del bosco e in pochi minuti sono già in posizione. Alle 17.30 una sagoma scura inizia a volare ed emettere i primi richiami, puntuali come un orologio svizzero.



Lunga esposizione in un bosco misto di latifoglie, realizzata con un movimento verticale della macchina fotografica montata su treppiedi.


60 mm, 2 s, f 22, ISO 100



Il cielo coperto mi priva di importanti minuti di luce e, sebbene i giovani picchi inizino a mostrarsi più vicini, i limiti dell’attrezzatura si sentono. Unico risultato discreto sembra essere una doppia esposizione, cioè la fusione di due scatti consecutivi “in camera”. Il risultato ancora non mi convince ma identifico un esemplare che torna abitualmente sullo stesso albero e mi sbircia più o meno dalla stessa altezza. Basterebbe posizionarsi in modo da farlo contrastare con il cielo per ottenere una silhouette definita e un bello sfocato.


“Domani riprovo, non mi schiodo da qui.”

Ritorno puntale e loro con me. Non mi guardo nemmeno intorno e mi posiziono davanti alla grande quercia. La giornata è serena ed è quasi il tramonto, le foglie delle chiome si tingono di colori caldi, creando lo sfondo perfetto. Un forte richiamo arriva dalla mia destra e in un paio di secondi un picchio si posa esattamente dove lo aspettavo.


Scatto a raffica, non si muove, controllo dal monitor: è nitida e a fuoco.



Silhouette di picchio nero in bosco di latifoglie autunnale, scatto singolo.


400 mm, 1/100 s, f 6.3, ISO 1000



Ho tempo forse anche per una doppia esposizione. Cambio allora modalità e realizzo il primo scatto, è fatta, posso prendermi del tempo per scattare il secondo come più mi aggrada. Vedo il picchio involarsi e raggiungere gli altri due, realizzo il secondo scatto con calma mentre li sento vocalizzare ancora poco distante.



L'immagine finale, ottenuta da una doppia esposizione ritraendo la sagoma del picchio e, successivamente, i "cerchi" ottenuti dalla luce filtrante nelle chiome degli alberi.


600 mm, 1/100 s, f 6.3, ISO 1000



Riesco a portare a casa un paio di scatti ed è un risultato più che soddisfacente. Rimango fino a ben dopo il tramonto, un po' come per ringraziare i miei piumati soggetti e un po' per assicurarmi di non averli disturbati.


L’ultima apparizione la fa l’individuo più piccolo sul sottile fusto di una farnia a pochi metri da me. È troppo buio e probabilmente fatica a vedermi anche lui. Aspetto che si allontani per riporre l'attrezzatura e dirigermi verso la macchina.


Sulla strada del ritorno non riesco a non pensare ai giorni appena trascorsi e a questa breve e intervallata convivenza, occasione unica per conoscere profondamente una "nuova" specie sul campo nonché raccogliere materiale per farla conoscere a molti altri. Arrivo a casa e, dopo aver appoggiato lo zaino a terra, mi cade l'occhio sul portatile aperto sul tavolo:



“Potrebbe essere una bella storia da raccontare, magari con un articolo.”



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